venerdì 9 gennaio 2015

Il dito e la Luna


di Michele Petrino

Per una volta voglio fare come lo stupido e fissare il dito che indica e non la luna.
E se la luna è l'islam radicale, quell'universo jihadista, spesso frammentato, che organizza strategie capillari di terrore nel nostro territorio occidentale, il dito è il bacino in cui viene reclutata la bassa manovalanza necessaria per i piani sanguinari del Califfato, di Al Quaeda e di tutti gli altri gruppi che cercano di assicurarsi un posto in prima fila all'interno del panorama mediatico internazionale.
La luna che tantissimi opinionisti studiano, a ragione, è il terreno di confine che divide l'islam moderato da quello radicale. Sono le cause internazionali che foraggiano il terrorismo. Sono le interpretazioni radicali di un credo che si presta a letture sanguinarie e che affascinano anche ricchi occidentali.


Ma il dito che voglio fissare è rappresentato dai quartieri delle nostre grandi (e piccole) città occidentali dove vengono coltivate segregazioni, ghettizzazioni e imponenti sacche di povertà e delinquenza. Spesso il reclutamento terroristico viene effettuato all'interno di tali quartieri.
Ritengo importante soffermarsi su questo aspetto del complesso fenomeno terroristico in quanto ci consente di ragionare sullo stato della nostra Europa che oggi vive indubbiamente un momento difficile.
Si diceva della povertà, della delinquenza e delle ghettizzazioni.
La sperequazione è una storia vecchia quanto il mondo, ma sarebbe superficiale ed inesatto liquidare la mancanza di equità come un problema endemico al genere umano, irreversibile e incapace di essere combattuto. E' la storia che ce lo insegna: nel Novecento abbiamo constatato il successo di politiche redistributive della ricchezza che hanno cercato e, in certi casi, sono riuscite a estendere a una fascia il più larga possibile il benessere che in quel momento l'occidente sapeva produrre copiosamente. 
Oggi la situazione economico-sociale europea ha subito un'involuzione. Lo dice una forbice sempre più larga tra ricchi e poveri, una prevalenza della ricchezza prodotta dal patrimonio rispetto a quella generata dal reddito da lavoro, il consolidarsi di rendite di posizioni sempre più mastodontiche, la precarizzazione e la svalutazione del lavoro che sfrutta, richiamando modelli ottocenteschi, la notevole presenza di offerta.
Tutte queste considerazioni riguardano appunto la sfera economico-sociale, ma a tale quadro vanno purtroppo aggiunti sinistri scricchiolamenti attinenti alla sfera politica.
La stessa identità democratica europea sembra infatti vacillare sotto i colpi di partiti nazionalisti che in ogni nazione stanno acquistando sempre maggiore consenso.
I concetti fondanti della nostra democrazia come la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, la tolleranza vengono messi in dubbio in nome di una realtà contingente oggettivamente critica che si vuole combattere coltivando sogni autarchici e reazionari che non appartengono alla migliore tradizione della nostra civiltà, quanto a quelle pagine peggiori che abbiamo creduto, forse frettolosamente, di esserci lasciati alle spalle.
In questo quadro, non è difficile scorgere nei nostri sobborghi la presenza di una grandissima quantità di cittadini di serie B. Alludo chiaramente agli immigrati di prima o seconda generazione. Uomini e donne che non godono della considerazione sociale che dovrebbe spettargli e non accedono alle possibilità che altri cittadini possono avere. Vittime di un'atavica paura del diverso e di un senso di superiorità che in Europa si è sempre coltivato sin dalle esperienze coloniali ed anche prima.
Ora spesso capita che alcuni di questi uomini finiscano per compiacersi dell'isolamento cui vengono sottoposti perché a chi viene posto ai margini non resta che deprimersi o per reazione fare fronte, cercare il simile, rivendicare orgogliosamente la propria diversità. Da lì a cadere vittima del primo cattivo maestro che si fa portatore di una spiegazione per questa loro condizione di emarginazione, il passo è breve.
Riscatto, valorizzazione, scopo. Ecco cosa viene offerto a questi giovani uomini, che cadono vittima di chi sa proporre una via di uscita per quanto sanguinaria, abietta, ma capace di fornire una narrazione che dia senso al malessere.
Lungi dal voler giustificare tali cittadini, ma piuttosto col fine di comprendere l'origine di certe conversioni al terrore, bisogna concentrarsi sui meccanismi di reclutamento che avvengono in casa nostra e che trovano nella presenza di un latente razzismo e di una notevole sperequazione sociale un elemento agevolatore.
Tale approccio è necessario al fine, non solo di sbandierare le nostre virtù politico-sociali che pure vanno orgogliosamente rivendicate, ma anche e sopratutto per individuare la migliore strategia per combattere il fenomeno del terrorismo che bisogna e, di questo sono convinto, cominciare a combattere in casa nostra. Altra soluzione non vi è.
I flussi migratori, questi sì endemici al genere umano, hanno sempre rappresentato una ricchezza da coltivare. Ma per farlo bisogna riprendere senza paura il laboratorio culturale che ha reso grande il nostro continente.
L'occidente sta coltivando da anni un orizzonte vacuo e privo di valori, in cui le identità delle varie fasce sociali si sono livellate verso un edonismo consumistico che genera in chi non vi riesce ad accedere insoddisfazione, rabbia, voglia di rivalsa e alla lunga bisogno di senso.
Bisogna che sia la nostra società a fornire questo senso. 
Non dobbiamo permettere che lo facciano altri.
Bisogna occuparci della salute del nostro territorio e di quella della nostra anima democratica.
Nella lotta al terrorismo la politica estera dovrà fare la sua parte, ma non meno importanza avranno le politiche di integrazione sul nostro territorio.

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